Il desiderio e la società dei consumi
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Il desiderio è diventato l’elemento dominante nella nostra società odierna, poiché è la base su cui si fonda l’economia e il funzionamento del sistema. In ogni momento della nostra vita qualcuno o qualcosa ci rivolge un invito ad acquistare, magari quello che in quel momento ci permette di sentirci come gli altri o meglio degli altri, al di fuori della massa.
La pubblicità mette al centro della sua comunicazione il desiderio di essere, non di avere. Possedere qualcosa che non serve e che è destinata allo scarto, non è più una motivazione all’acquisto.
I pubblicitari si impegnano nel presentare qualcosa che porti con sé la promessa di una felicità immediata. Dalle pubblicità tende a scomparire il prodotto in quanto tale, per lasciare il posto a sensazioni di felicità e di appagamento.
L’ideologia consumistica permea non solo l’etere, internet e gli spazi pubblicitari, ma anche le nostre menti, spingendo ogni individuo a rimpiazzare il proprio desiderio con la necessità di vivere l’esperienza dell’acquisto fino in fondo, infinite volte, per riuscire a colmare quelle mancanze di significato della propria vita. E queste mancanze di significato dovrebbero essere riempite dall’oggetto acquistato.
Come risultato, l’individuo acquista per godere della fantastica esperienza promessa dall’oggetto, ma questo piacere non arriva o al massimo è temporaneo: perciò continua a comprare, poiché la posta in gioco è la sua felicità, la sua identità. Sa benissimo che tutto questo non darà dei risultati, ma continua a farlo.
La crescita economica continua, e non la semplice stabilità del prodotto interno lordo, è condizione economica necessaria per il buon funzionamento della nostra società. Come un aereo che non sta in aria se non si muove, l’economia in cui viviamo crolla se non accelera e quindi il desiderio di consumare e acquisire sempre di più diventa essenziale. Questo desiderio non riguarda tanto la soddisfazione dei bisogni di ciò che manca ai più poveri, ma si concentra soprattutto sull’aumento dei consumi da parte di coloro che già hanno molto.
Il desiderio, o meglio l’aumento progressivo dei desideri diffusi nella società, domina i nostri costumi e le nostre abitudini. Soprattutto nella seconda metà del novecento, il desiderio di miglioramento e progresso individuale e sociale ha destabilizzato e ingigantito l’Europa. Questo desiderio di crescita è stato sfruttato dalla politica, che ha il compito di gestirlo e di gestire i sogni e le utopie legate alla crescita economica. L’industria della pubblicità e del cinema è stata creata per soddisfare questo desiderio, e l’ideologia capitalistica si è diffusa ovunque.
Il desiderio ha questa caratteristica anche nichilistica di portarci da un oggetto all’altro senza che nessun oggetto sia in grado di soddisfare la nostra vita, perché nel mito ipermoderno del nuovo noi verifichiamo che l’insoddisfazione è sempre la stessa. Il nuovo oggetto ci illude di darci la soddisfazione e noi verifichiamo che cambiando gli oggetti permanentemente, perennemente, abbiamo sempre la stessa insoddisfazione.
La grande illusione del nostro tempo è che sono gli oggetti che danno la felicità. Hai un partner con cui non va? Cambia partner! C’è uno psicoterapeuta con cui non va? Cambialo! C’è una scuola che non va? Cambia scuola! Siamo in un tempo in cui sembra che la felicità dipenda dall’oggetto e che cambiando l’oggetto si possa essere felici. La clinica della psicanalisi insegna il contrario, cioè che in questi cambiamenti di oggetto c’è la stessa infelicità. Piuttosto si tratta di cambiare il rapporto del soggetto con il suo desiderio: questo cerchiamo di fare nel nostro lavoro clinico.
MASSIMO RECALCATI
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